Imago Isa Marcelli: Les adventices
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e c’è
come un rimbombo di tempesta (la città
trasparente, il vento spazza strami d’oro-
azzurro
gonfiandosi a est una plaga
di magnesio) da aver riguardo per quell’apocrifo
dolore, quel germinale grumo d’inquietudini-
carni migra vai
piume scalze in Irlanda, va’ a danzare
con furia per radure di ghiaccio, fin che nel bosco
sfogliandosi la pelle (madida, cerea)
in preziose scaglie di serpente non sarai
selvatico in volto
dolce d’erba nel sole al suo calare
e i ricordi
i perduti (credi, ne avrà ogni volta
nostalgia la tua spoglia umana)
quelli
ti rimpolpano, fanno interferenza
col presente ti fiutano
con la devozione dei lupi al mattino, con falci
di mantide (sono, forse, tra i più sofisticati
demoni della noia, le facce-
licheni di Siberia mani dure di betulla) – immagina
come se trasalissi di spavento
nell’arnia molle della casa quando fuori è
nero e l’altre ombre
dormono – stralunato
languore
di un’upupa barocca,
poi che le radici
brune intorte non si staccano
dalla calce dei giorni
uguali – diorama d’orchi
e di fauni, spettrale
wayang kulit dei tuoi lari
e si dà la colpa al tempo. «Non puoi,
angelo, sempre salvarmi dal buio…»
Ma ecco, poi me lo imparo, ancora, che sei tu, sei tu la cellula di luce il favo d’oro, e allora noi terrestri, noi falene di fuoco bruciamo e divoriamo le tenebre, guardaci, in preda a una gioia, preistorici.
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Vito Santoliquido
’14.15